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Favolacce: la disturbante favola nera dei fratelli D'Innocenzo

Nicol senza e per Il Periodico

I fratelli D'Innocenzo, con Favolacce, tornano a permeare di bellezza inedita l'attuale panorama cinematografico italiano e ad incutere di impotenza lo spettatore, i cui istinti di reazione si arrendono alla loro stessa vacuità dinanzi ad uno spettacolo autentico e disturbante.
Una sceneggiatura intelligente e sincera, già premiata dell'Orso d'Argento alla Berlinale 2020, riassume gli sforzi artistici dei due fratelli di Tor Bella Monaca e traccia i confini entro i quali si muove impetuosa una storia ricca di virtuosismi. La narrazione naturalistica che aveva caratterizzato interamente la loro opera prima, viene dunque abbandonata in favore di un registro più tipicamente surreale, che conserva però saldamente l'attitudine ad incanalare nelle inquadrature la bruttezza della periferia.

Una periferia diversa dalla violenta borgata malavitosa romana de La terra dell'abbastanza. Bisogna spostare le fronde degli alberi e farsi spazio in un quartiere bagnato da troppo sole, prima di scoprire che i giardini ben curati e le villette a schiera non impediscono la tragedia, ma la mascherano soltanto.


Il voice over di Max Tortora dichiara in incipit di aver trovato il diario di una bambina, di averlo letto e poi continuato liberamente. Una voce fuori campo calma, che al più incespica in romanesco colorito, è l'escamotage narrativo di cui i D'Innocenzo si servono per entrare dalla finestra nella quotidianità di tre famiglie, la cui convivenza è solo apparentemente serena.

Una normalità infimo-borghese che svela presto la sua mediocrità insanabile, fatta di adulti burattinai e bambini marionette, di grandi irrealizzati e piccoli che hanno fretta di crescere.
Le famiglie del quartiere vivono in un limbo esistenziale, non sono povere e non sono ricche, bramano il benessere ma hanno paura di ostentarlo. E allora rimangono normali, naturalmente composte da madri assenti e incapaci di amare e padri dispotici dagli istinti primordiali, veri decisori delle questioni familiari, in grado di spalleggiarsi a vicenda, parlarsi alle spalle e condividere sottovoce fantasie da stupratori.


I figli invece vengono fatti incontrare per passarsi il morbillo, vengono sfoggiati come trofei, vengono rasati dopo aver preso i pidocchi. Vivono cercando di comunicare un disagio inascoltato e figlio di un amore per la vita mai tramandato, abituati in una routine dove la spensieratezza dura il tempo di un gavettone.
Sono figli un po' adulti e un po' bambini, la cui fascinazione e al tempo stesso assuefazione al plagio dei grandi non rappresenta che l'ennesimo finto equilibrio. Favolacce risolve questa palude esistenziale spezzando il ritmo di una narrazione virtuosistica con un colpo di testa senza preamboli, che conferma la colpevolezza degli adulti rancorosi e l'innocenza dei luoghi.


Nell'ultimo atto dunque, il film esplode, ma non senza aver sfruttato un crescendo di tensione mai artificioso. Le cene tra amici non sono mai solo cene, ma il presagio che qualcosa rischia di andare storto.
Un climax di inquietudine perfettamente costruito, la cui resa impeccabile è affidata ai primissimi piani angoscianti e ai lenti campi lunghi, ad una colonna sonora (Città Notte, album semisconosciuto di Egisto Macchi)
disperata e alla scarsità di dialoghi.

A parlare solo volontariamente i silenzi, sospesi in un impianto visivo elegante e le fisicità tese degli eccezionali interpreti, grandi e piccoli (uno più incredibile dell'altro, da Elio Germano a Max Malatesta, da Tommaso Cola a Ileana D'Ambra) valorizzate dalla fotografia fiabesca di Carnera che immortala scenografie antropomorfe, interni miseri e costumi color pastello.
Un'apparente freddezza che in realtà è ricerca di intimità con lo spettatore, volta a garantire la vicinanza ai personaggi. Difatti, quello che può apparire un film che giudica e disprezza i suoi protagonisti, è contrariamente una grande prova di abbandono di quella tipica attitudine misantropica della regia.
Da parte dei fratelli D'Innocenzo non c'è valutazione morale, ma nemmeno l'obiettivo di rassicurare o dare soluzioni ad un pubblico che stimano ma che al tempo stesso vogliono tormentare.

Favolacce, on demand dall'11 maggio, è una fiaba nera disturbante, che si insinua con forza nelle fessure degli occhi e delle orecchie, che avvolge ogni cosa e arrovella lo spettatore con una domanda che è turbamento: provare a divenire meno crudelmente feroci o rimanere sdraiati sul divano con la TV accesa a nutrirsi delle tragedie degli altri?

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