Le trasformazioni provocate dai mutamenti sociali degli ultimi decenni nella struttura della famiglia italiana
Quale istituzione, se non la famiglia, è la più importante della sfera privata, in grado di forgiare, educare, curare, accompagnare e spronare.
Come di tutte le cose sicure, certo ne è anche il suo mutamento. Atto al nostro esame è il suo decorso nel XX secolo.
Fino agli anni Cinquanta, infatti, la famiglia era di tipo patriarcale, all’interno della quale l’uomo e la donna impersonificavano ruoli ben distinti, il primo ricopriva le vesti del capo famiglia, la seconda, invece, “giocava” a fare la mamma e la casalinga.
Entrambi trasudavano lavoro, vuoi per il sostentamento economico familiare, vuoi per accudire la prole e governare la casa.
Il legame familiare era tenuto in vita dal focolare domestico, intorno al quale girava la vita quotidiana, e dalla morale cristiana.
Tuttavia, a partire dagli anni Cinquanta, la famiglia tradizionale ha iniziato a conoscere notevoli mutamenti dettati dall’evoluzione sociale.
Il modo di intendere la società muta con essa, ed è per questo che le donne calcano per la prima volta il terreno di guerra per combattere al fronte di una nuova società, abbandonando le trincee che mai avevano scelto di abitare.
È l’emancipazione femminile, difatti, a porre rimedio all’asimmetrico gioco dei ruoli, fornendo alla donna le pari opportunità in ogni campo, sia esso lavorativo o politico, svincolandola in ogni modo dagli stereotipi nei quali era sempre stata relegata, allontanandola dalle mura della sua cucina, dal set di coltelli in offerta a 19 euro consigliato alla tv e dal cambio pannolini che arriva puntuale ad ogni pianto del bambino.
Se l’emancipazione femminile gioca un ruolo primario nel mutamento dei rapporti all’interno della famiglia, altrettanto fa la globalizzazione.
Che questi cambiamenti abbiano portato l’individuo al soddisfacimento di obiettivi di natura personale fini all’avanzamento di carriera è certo, ma all’interno della famiglia si respira aria ben diversa da quella del successo.
È aria di crisi e a parlare sono i dati. Il 40% dei bambini da 0 a 13 anni ha entrambi i genitori occupati, un altro 50% è figlio unico e sono aumentate sia le coppie senza figli che quelle che scelgono di convivere.
Nasce, e cresce negli anni, una nuova unione coniugale di tipo occidentale, la famiglia nucleare.
Si fa riferimento all’Occidente, in quanto storicamente primo nelle avanguardie, nello scostarsi dalle tradizioni e alla ricerca di novità. Ma la novità quanto spesso non porta con sé l’obbligo del rischio, trascinandosi dietro errori necessari?
Mai! Ed è per questo che per rincorrere un lavoro ci si ritrova a rincorrere e a farsi rincorrere dalla famiglia, che è sempre più spesso costituita da due individui, entrambi lavoratori precari, probabilmente pendolari, che convivono in un appartamento del quale mensilmente devono pagare il fitto, e nel quale si incontrano due volte al giorno. La mattina, di fretta e furia, assicurandosi che l’uno metta l’allarme e che l’altro non si dimentichi di portare il cane dal veterinario, e la sera, quando sono entrambi a letto, dinanzi al computer, a finire il progetto lavorativo per il giorno dopo.
E allora come può una coppia precaria di oggi progettare di avere un figlio se non progetta nemmeno di essere una coppia? Una coppia consacrata, una coppia unita per la vita. Il matrimonio assume un significato diverso dal “per la vita” e si trasforma in “fino al divorzio”.
Pertanto, la cosiddetta società del divorzio fa sì che il valore morale della famigli sia soffocato da altre realtà quotidiane a cui pensare.
La famiglia soffocata dalla quotidianità?! E pensare che cinquanta anni fa era la quotidianità ad essere soffocata dalla famiglia.
La famiglia è vittima, ma causa stessa del suo male. La mamma che era stufa di fare la mamma, il papà che era stufo di non godersi la famiglia, i figli stufi di dover sottostare al “regime”.
Era infelice ed era costretta. Adesso è infelice e per quanto libera, nessuno la fa. È libera da tutto, libera dal vincolo di essere etero, libera di essere composta da un divorziato e non, libera di essere ricostruita.
Talmente in equilibrio con le esigenze sociali, da esserne stata inghiottita completamente. Che in passato sia stata la presenza di troppi modelli di famiglia ad invogliare il cambiamento o che sia la mancanza di un esempio standard oggi ad aver confuso l’intenzione della famiglia?
Semplicemente l’uomo, per vivere, ha bisogno di equilibrio, un equilibrio che mancava in passato e che forse adesso è troppo.
Non si è stati in grado fino ad oggi di trovare il giusto ritmo, sarebbe giusto, quindi, affidare il cambiamento ai giovani.
Far ritrovare a loro il significato di famiglia, né patriarcale né nucleare, che sia in equilibrio con la società ma che non ne venga inghiottita; dove le figure parentali lavorino entrambe, ma trovino sempre il tempo di amarsi e fare o adottare figli, alternandosi nell’accudimento dei tali; che la loro prima preoccupazione, la mattina, sia quella di fare colazione insieme prima che di mettere l’allarme; dove sia l’uomo che la donna possano prendere in mano la padella e decidere di cucinare, o il telefono per chiamare e comprare un set di coltelli o un pannolino e cambiare il bambino che piange.
Nicol Locaputo
Quale istituzione, se non la famiglia, è la più importante della sfera privata, in grado di forgiare, educare, curare, accompagnare e spronare.
Come di tutte le cose sicure, certo ne è anche il suo mutamento. Atto al nostro esame è il suo decorso nel XX secolo.
Fino agli anni Cinquanta, infatti, la famiglia era di tipo patriarcale, all’interno della quale l’uomo e la donna impersonificavano ruoli ben distinti, il primo ricopriva le vesti del capo famiglia, la seconda, invece, “giocava” a fare la mamma e la casalinga.
Entrambi trasudavano lavoro, vuoi per il sostentamento economico familiare, vuoi per accudire la prole e governare la casa.
Il legame familiare era tenuto in vita dal focolare domestico, intorno al quale girava la vita quotidiana, e dalla morale cristiana.
Tuttavia, a partire dagli anni Cinquanta, la famiglia tradizionale ha iniziato a conoscere notevoli mutamenti dettati dall’evoluzione sociale.
Il modo di intendere la società muta con essa, ed è per questo che le donne calcano per la prima volta il terreno di guerra per combattere al fronte di una nuova società, abbandonando le trincee che mai avevano scelto di abitare.
È l’emancipazione femminile, difatti, a porre rimedio all’asimmetrico gioco dei ruoli, fornendo alla donna le pari opportunità in ogni campo, sia esso lavorativo o politico, svincolandola in ogni modo dagli stereotipi nei quali era sempre stata relegata, allontanandola dalle mura della sua cucina, dal set di coltelli in offerta a 19 euro consigliato alla tv e dal cambio pannolini che arriva puntuale ad ogni pianto del bambino.
Se l’emancipazione femminile gioca un ruolo primario nel mutamento dei rapporti all’interno della famiglia, altrettanto fa la globalizzazione.
Che questi cambiamenti abbiano portato l’individuo al soddisfacimento di obiettivi di natura personale fini all’avanzamento di carriera è certo, ma all’interno della famiglia si respira aria ben diversa da quella del successo.
È aria di crisi e a parlare sono i dati. Il 40% dei bambini da 0 a 13 anni ha entrambi i genitori occupati, un altro 50% è figlio unico e sono aumentate sia le coppie senza figli che quelle che scelgono di convivere.
Nasce, e cresce negli anni, una nuova unione coniugale di tipo occidentale, la famiglia nucleare.
Si fa riferimento all’Occidente, in quanto storicamente primo nelle avanguardie, nello scostarsi dalle tradizioni e alla ricerca di novità. Ma la novità quanto spesso non porta con sé l’obbligo del rischio, trascinandosi dietro errori necessari?
Mai! Ed è per questo che per rincorrere un lavoro ci si ritrova a rincorrere e a farsi rincorrere dalla famiglia, che è sempre più spesso costituita da due individui, entrambi lavoratori precari, probabilmente pendolari, che convivono in un appartamento del quale mensilmente devono pagare il fitto, e nel quale si incontrano due volte al giorno. La mattina, di fretta e furia, assicurandosi che l’uno metta l’allarme e che l’altro non si dimentichi di portare il cane dal veterinario, e la sera, quando sono entrambi a letto, dinanzi al computer, a finire il progetto lavorativo per il giorno dopo.
E allora come può una coppia precaria di oggi progettare di avere un figlio se non progetta nemmeno di essere una coppia? Una coppia consacrata, una coppia unita per la vita. Il matrimonio assume un significato diverso dal “per la vita” e si trasforma in “fino al divorzio”.
Pertanto, la cosiddetta società del divorzio fa sì che il valore morale della famigli sia soffocato da altre realtà quotidiane a cui pensare.
La famiglia soffocata dalla quotidianità?! E pensare che cinquanta anni fa era la quotidianità ad essere soffocata dalla famiglia.
La famiglia è vittima, ma causa stessa del suo male. La mamma che era stufa di fare la mamma, il papà che era stufo di non godersi la famiglia, i figli stufi di dover sottostare al “regime”.
Era infelice ed era costretta. Adesso è infelice e per quanto libera, nessuno la fa. È libera da tutto, libera dal vincolo di essere etero, libera di essere composta da un divorziato e non, libera di essere ricostruita.
Talmente in equilibrio con le esigenze sociali, da esserne stata inghiottita completamente. Che in passato sia stata la presenza di troppi modelli di famiglia ad invogliare il cambiamento o che sia la mancanza di un esempio standard oggi ad aver confuso l’intenzione della famiglia?
Semplicemente l’uomo, per vivere, ha bisogno di equilibrio, un equilibrio che mancava in passato e che forse adesso è troppo.
Non si è stati in grado fino ad oggi di trovare il giusto ritmo, sarebbe giusto, quindi, affidare il cambiamento ai giovani.
Far ritrovare a loro il significato di famiglia, né patriarcale né nucleare, che sia in equilibrio con la società ma che non ne venga inghiottita; dove le figure parentali lavorino entrambe, ma trovino sempre il tempo di amarsi e fare o adottare figli, alternandosi nell’accudimento dei tali; che la loro prima preoccupazione, la mattina, sia quella di fare colazione insieme prima che di mettere l’allarme; dove sia l’uomo che la donna possano prendere in mano la padella e decidere di cucinare, o il telefono per chiamare e comprare un set di coltelli o un pannolino e cambiare il bambino che piange.
Nicol Locaputo
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